Tema.0 #2

Da quale parte del mondo
sorgerà mai l’impulso alla verità?

Pandemia nasce così, chiedendosi quanto l’arte abbia a che fare con la ricerca della verità e con l’essenza delle cose. Quanto sia disposta a spingersi ai confini della vita, a costo di ritrovarsi faccia a faccia con il vuoto. Quando l’arte chiama la vita, quando la vita chiama l’arte e quando insieme cercano la verità?

Siamo stanchi di tante
parole stuprate.
 
Un ghigno ci storta la faccia 
la vita è tremenda
la morte distratta
e tu non volgi gli occhi tuoi.
 
Non tornerò
dai campi del bosco
dalla pazza esistenza
di mille barche.
 
Un pesce cieco 
si asciuga la bocca
tu stiri le lenzuola 
sporche di carne.
 
Un coltello tra i seni
magri e le gambe
spaccante in due 
su questo letto di plastica.
 
Siamo stufi della donna
di Dio e dell’arte
e la misericordia
ci fa pietà.
 
Siamo stanchi di tante
parole stuprate.
Francesco Zannini



In un bar di Lugano
 
Molte volte ho pensato all’aspetto
di cose che dicono semplici e chiare
cercando alla luce di rigidi schermi,
sirene di terre promesse lontane.
 
Anni tremendi lanciati in attesa sublime
di dire con voce appassita alla fine:
La chair est triste et j’ai lu tous les livres
hélas al pari d’un’acqua che genera arsura.
 
Ora so, legger quello che basta
a conoscere il mondo non serve,
è vedere chi ami ferire ed amarlo
sconfiggere la morte per sempre.
 
La verità in quel bar di Lugano
era mite ai poeti, una piccola e rossa
tazzina accanto lo zucchero bianco,
agli occhi d’un uomo che per il dolore
di vita nel cosmo ha parole di figlio.
 
Nella nudità delle cose che splendono
ho visto poeta esser uomo comune
con passo lieve in terra umile stilla,
rugiada che fa delle foglie, dell’erba
nascosta, preziosa creatura.
 
Beatrice Vandi 
Francesco Zannini
Monologo del non so #2

Ho dimenticato come ci si inginocchia come
Essere umile devota una terra umida nera io
Ho dimenticato di chiedere perdono ogni ora.
 
L’ultima vera richiesta d’aiuto io non la ricordo,
una e a misura di tutte le cose non è la mia vita
anche ora: o dico io sempre o finisco muta.
 
Tutto in me eccede oltre il verso non so come
termina e dove comincia il mio dire, se poi
veramente ho qualcosa da dire io penso di sì.

Beatrice Vandi 

Non so cosa mi lega a te ogni giorno
Se sia solo il nonamore di questi anni
C’è un coraggio che va oltre
I tuoi occhiali – i tuoi passi di fianco ai miei

Mi sento poeta a poetizzare la vita
Che tutto sia più nel profondo
La verità me l’ero immaginata diversa
Con meno oscurità sulle spalle.

Chiara Arduini 

È così che si ritorna all’alba
Come la prima volta che mi hai baciato
Avevi l’indecisione di un bambino
Che scrive ‘io’ e non l’aveva mai fatto.  

È amore per la vita cercare nel profondo
Non arrivare a dire sì a nessuno
Tutto quello che si dovrebbe dire
E non si può dire mai

ogni parola un passo più vicino 
al vero vuoto che vedo
al nulla del mio sguardo, il tuo sguardo 
il mare che vuole morire. 

Chiara Arduini 

Tornare a scrivere stasera è tornare ad amare
Mi mancava essere malata – invischiata
Nel groviglio del mondo 
 
Stasera tornare è tornare a casa
Avere una porta da aprire
Dire – entra anima mia
Era da un po’ che te n’eri andata
 
Stasera è avere un letto
Chiedere alla vita la violenza della lotta
Una tregua di carezze
 
È la fine del giorno e tu sei qui
Ho lasciato andare il flusso
Ho partorito il mio dolore
 
Dire – grazie anima mia
Stasera addormentati con me in un abbraccio.

Chiara Arduini 
Vitali Studio
Poesia,

spacca ogni criterio
tutti i mari crocifiggi
      e culla
dentro un calice di sillabe.
 
Posare una parola 
       ancora fumante di sangue
                  odorante di vita
direttamente fuoriuscita dalle vene
 
come pietra prima di una cattedrale,
      ogni volta
             sentire il peso
                   degli universi concentrati 
                            in un punto.
 
Esplode nel mio segreto 
            una primavera di occhi.
Sottomesso al bastone di un fuoco antico  
            lui mi guida,
la dura pelle della vita trivellata
           poi, bere il suo petrolio
 
Scrivere è vedere
in come imprevedibili,
                 
cucirsi addosso una sete di?
 
Scrivere ossia 
    sono Menade, Sibilla,
            Isaia e Malachia
Sono offrire doni non miei
                 perché parlo cose 
che non so
                ma riconosco:
 
sanno di assoluto.
 
Dire è dire
Tutto ciò che siamo, non siamo? Mai.
C’è invece 
    risplende
        qui 
ogni angolo del mondo 
perché il nostro tutto è
    nel particolare più rotto
        e il polline sul vetro, una formica sopra un dito
          sarà la Tenerezza o la Morte.
 
L’ineffabile stesso conosce 
queste nostre vie incapaci
di soluzione, abita 
i nostri sentieri  
senza dire il suo nome.
 
Malato di luce
         Nel cuore della notte
              il poeta è una ferita.
 
Dalla piaga gocciola
    una verità sporca di cielo,
                             un demone segreto
la detta,
 
    canta la tua danza
            sei tu
 
Poesia

Riccardo Clementi 
 
 
Vitali Studio
Funerale di Bobo 
 
1 
 
Bobo è morta, ma non toglierti il cappello.
Come spiegarlo, non c’è niente per cui consolarsi.
Non appuntiamo la farfalla con lo spillo 
dell’Ammiragliato, la mutiliamo soltanto.
 
Le finestre sono quadrate, per quanto ne squadri i lati
E in qualità di risposta a: “cosa è successo” – apri una scatola 
di sardine vuota dentro: “ecco, questo”.
 
Bobo è morta. Sta finendo il mercoledì.
Sulle strade, dove non trovi da pernottare
È bianco bianco. Solo l’acqua nera
del fiume notturno non trattiene la neve. 
 
2 
 
Bobo è morta, e in questa strofa c’è malinconia.
I quadrati delle finestre, i semicerchi delle arcate.
un freddo tale, che, se ti uccidono, sia almeno 
con armi da fuoco.
 
Addio Bobo, meravigliosa Bobo.
La lacrima dona al formaggio tagliato
Siamo troppo deboli per seguirti 
Ma anche rimanere fermi è al di sopra delle nostre forze.
 
La tua immagine, lo so in anticipo,
al caldo, e al freddo-clematide 
non diminuirà, anzi, tutto l’opposto,
nell’irripetibile prospettiva di Rossi.
 
3
 
Bobo è morta. È una sensazione condivisibile, 
ma scivolosa, come il sapone.
oggi ho sognato di essere sdraiato nel
mio letto, e così è stato. 
 
Strappa il foglio, ma cambia la data. 
Lo zero apre l’elenco delle perdite.
I sogni senza Bobo ricordano la realtà, 
e l’aria entra quadrata nella stanza.
 
Bobo è morta. Viene voglia, con le labbra 
schiuse appena, di pronunciare: “non ce n’è bisogno” 
Probabile, che dopo la morte, ci sia il vuoto.
Ed è più probabile, ed è peggio dell’Inferno. 
 
4
 
Tu eri tutto. Ma dal momento che ora 
sei morta, mia Bobo, tu sei diventata
un nulla  – per l’esattezza, un grumo di vuoto.
Che è già, capisci, qualcosa.
 
Bobo è morta: nel cerchio degli occhi
Si muove la linea dell’orizzonte, come un coltello
Ma, Kiki o Zaza non sostituiranno te, bobo con l’orizzonte 
Non si può.
 
È mercoledì. Io credo nel vuoto.
Nel vuoto si sta come all’Inferno, fa solo più schifo.
E il nuovo Dante si china sul foglio 
E mette la parola in uno spazio vuoto.
 
I. Brodskij, trad. Veronica Colombo

Vitali Studio

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