Giorgio Siciliano + Chiara Colombo
EPISODIO 1
È Shakespeare che si rifugia in casa mentre il mondo precipita nel silenzio e nel buio. È la storia di un ricordo che ritorna e trafigge l’anima. È un dialogo estenuante con la propria solitudine mentre il suono delle sirene sovrasta le parole. È il momento in cui il mondo torna a respirare nella luce e nel rumore delle strade e delle piazze. È infine Ophelia che ritorna.
La serie nasce da un’idea di Giorgio Siciliano che si chiede cosa sarebbe successo se Shakespeare si fosse innamorato di uno dei suoi personaggi più celebri, Ophelia. Si chiede se mai si sia sentito in colpa per aver creato una donna così eterna per poi decidere di farla impazzire e di ucciderla.
Dall’incontro con Chiara Colombo nascono le illustrazioni di questa serie. In ogni episodio, attraverso un genere letterario diverso, Dapprima tremendo fu il silenzio racconta di questo dramma e di questa resurrezione.
Il primo episodio è un prologo in versi di Giorgio, ogni strofa è stata illustrata da Chiara.
Dapprima tremendo fu il silenzio,
e in principio furono i più timorati
che smisero di fare rumore
nascondendo i loro occhi tremanti.
E le strade vennero lasciate sporche,
quando anche le lingue mutilate corsero a rifugiarsi
sotto le montagne instabili dei loro padri
o sopra i ventri tumefatti delle loro madri:
non c’era più una parola d’ordine o un battito di mani
che potesse sollevare le anime caotiche di paura
solo il silenzio
a portarsi via le parole.
Fu il silenzio che arrivò per primo,
spegnendo tutti i canti che fino ad allora erano stati cantati
e tutti i balli che fino ad allora erano stati ballati
proibendo persino le percussioni cardiache.
Neanche i sacerdoti allora
predicavano più Cristo
pur anche l’organo si zittì nella casa del signore
mentre le suore correvano sotto i colonnati:
prima ancora che tremendo fu il silenzio
a bocche serrate
inciampavano nelle loro tuniche
verso il monastero.
Attento alle foglie morte tornavo a casa io,
accompagnato dalle mie quattro ossa infrante
nel reflusso di terrore bocca di stomaco
zittendo anche io le mie tue ultime parole.
Fu il silenzio che mi chiamò,
non tu
la paura che diventassi afona nel mio cuore
non io:
già senza le vibrazioni sonore necessarie a chiamarti
in una processione di bocche mute
in un carnevale mozzato
dove il silenzio infuriava tremendo.
Venne il buio a seguire il silenzio,
e quelli che fuggivano a casa
caddero all’insaputa di chi li aspettava
o di chi aveva (li) promesso un rifugio.
Gli amanti non riuscirono più a guardarsi,
e riscoprirono la vista delle loro mani tremanti
di gelida angoscia
e l’ultima cosa che vidi fu il ricordo che avevo di te:
impressa nei miei occhi serrati di paura,
la sagoma del tuo viso
come dopo aver alzato gli occhi al cielo estivo
ed aver incontrato il sole.
Ci furono poi i mozziconi lasciati accesi,
ad illuminare le strade orfane delle loro stelle lampioni
e anche i bambini poterono tornare alle loro cucce
sulla via di lucciole di catrame.
Non era più il cielo e non erano più i temporali,
non ci fu un lampo ad illuminare i volti pietrificati
o un tuono a far abbaiare i cani,
ero forse io davanti al tribunale dell’oscurità:
senza forma
senza suono
disperso
colpevole.
Cercai a tastoni la porta della mia casa,
dei palazzi attorno sentii solo la (loro) presenza
non c’era più nessuna finestra accesa
a benedire il mio rientro.
Fu il tuo odore,
dimenticato sulle mie lenzuola secoli addietro
a condurmi al sicuro dalle tenebre
e dal silenzio che mi scoppiava nelle orecchie:
sciami di mosche impazzite,
a rimbombarmi in testa
allontanando il tuo sapore
sfocando la tua immagine.
Così rimase il mio corpo,
al riparo
sdraiato
privato della vista e del suono.
Nelle infinite notti che seguirono,
quasi dimenticai la realtà attorno a me
e quasi dimenticai il rumore che faceva
o di che colori era stata fino ad allora:
se un mondo lì fuori ancora rimaneva vivo,
seppur oscuro e tacito,
il mio cuore bussando forte alle porte del mio petto
ne reclamava il segno.
Quale era allora il confine tra il mio corpo,
immobile
sgraziato sotto le coperte
e il vuoto eterno appena giunto tra me e tutte le cose?
Cosa rimaneva di te,
senza sillabe necessarie a pronunciare il tuo nome
senza poter vedere le tue mani tese verso il mio petto
da cui mille anni fa sgorgava la mia fonte di verità:
dissetami ancora
ovunque la tua anima abbia deciso di riposarsi.
È così buio qui,
così tremendamente silenzioso.
— E le mie labbra si seccarono
E nessuno mi rispose,
Solamente il silenzio e un indimenticabile buio. —
Disegni, Chiara Colombo
Testo, Giorgio Siciliano