Da quale parte del mondo
sorgerà mai l’impulso alla verità?
Pandemia nasce così, chiedendosi quanto l’arte abbia a che fare con la ricerca della verità e con l’essenza delle cose. Quanto sia disposta a spingersi ai confini della vita, a costo di ritrovarsi faccia a faccia con il vuoto. Quando l’arte chiama la vita, quando la vita chiama l’arte e quando insieme cercano la verità?
Siamo stanchi di tante parole stuprate. Un ghigno ci storta la faccia la vita è tremenda la morte distratta e tu non volgi gli occhi tuoi. Non tornerò dai campi del bosco dalla pazza esistenza di mille barche. Un pesce cieco si asciuga la bocca tu stiri le lenzuola sporche di carne. Un coltello tra i seni magri e le gambe spaccante in due su questo letto di plastica. Siamo stufi della donna di Dio e dell’arte e la misericordia ci fa pietà. Siamo stanchi di tante parole stuprate.
In un bar di Lugano Molte volte ho pensato all’aspetto di cose che dicono semplici e chiare cercando alla luce di rigidi schermi, sirene di terre promesse lontane. Anni tremendi lanciati in attesa sublime di dire con voce appassita alla fine: La chair est triste et j’ai lu tous les livres hélas al pari d’un’acqua che genera arsura. Ora so, legger quello che basta a conoscere il mondo non serve, è vedere chi ami ferire ed amarlo sconfiggere la morte per sempre. La verità in quel bar di Lugano era mite ai poeti, una piccola e rossa tazzina accanto lo zucchero bianco, agli occhi d’un uomo che per il dolore di vita nel cosmo ha parole di figlio. Nella nudità delle cose che splendono ho visto poeta esser uomo comune con passo lieve in terra umile stilla, rugiada che fa delle foglie, dell’erba nascosta, preziosa creatura. Beatrice Vandi
Monologo del non so #2 Ho dimenticato come ci si inginocchia come Essere umile devota una terra umida nera io Ho dimenticato di chiedere perdono ogni ora. L’ultima vera richiesta d’aiuto io non la ricordo, una e a misura di tutte le cose non è la mia vita anche ora: o dico io sempre o finisco muta. Tutto in me eccede oltre il verso non so come termina e dove comincia il mio dire, se poi veramente ho qualcosa da dire io penso di sì. Beatrice Vandi
Non so cosa mi lega a te ogni giorno Se sia solo il nonamore di questi anni C’è un coraggio che va oltre I tuoi occhiali – i tuoi passi di fianco ai miei Mi sento poeta a poetizzare la vita Che tutto sia più nel profondo La verità me l’ero immaginata diversa Con meno oscurità sulle spalle. Chiara Arduini
È così che si ritorna all’alba Come la prima volta che mi hai baciato Avevi l’indecisione di un bambino Che scrive ‘io’ e non l’aveva mai fatto. È amore per la vita cercare nel profondo Non arrivare a dire sì a nessuno Tutto quello che si dovrebbe dire E non si può dire mai ogni parola un passo più vicino al vero vuoto che vedo al nulla del mio sguardo, il tuo sguardo il mare che vuole morire. Chiara Arduini
Tornare a scrivere stasera è tornare ad amare Mi mancava essere malata – invischiata Nel groviglio del mondo Stasera tornare è tornare a casa Avere una porta da aprire Dire – entra anima mia Era da un po’ che te n’eri andata Stasera è avere un letto Chiedere alla vita la violenza della lotta Una tregua di carezze È la fine del giorno e tu sei qui Ho lasciato andare il flusso Ho partorito il mio dolore Dire – grazie anima mia Stasera addormentati con me in un abbraccio. Chiara Arduini
Poesia, spacca ogni criterio tutti i mari crocifiggi e culla dentro un calice di sillabe. Posare una parola ancora fumante di sangue odorante di vita direttamente fuoriuscita dalle vene come pietra prima di una cattedrale, ogni volta sentire il peso degli universi concentrati in un punto. Esplode nel mio segreto una primavera di occhi. Sottomesso al bastone di un fuoco antico lui mi guida, la dura pelle della vita trivellata poi, bere il suo petrolio Scrivere è vedere in come imprevedibili, cucirsi addosso una sete di? Scrivere ossia sono Menade, Sibilla, Isaia e Malachia Sono offrire doni non miei perché parlo cose che non so ma riconosco: sanno di assoluto. Dire è dire Tutto ciò che siamo, non siamo? Mai. C’è invece risplende qui ogni angolo del mondo perché il nostro tutto è nel particolare più rotto e il polline sul vetro, una formica sopra un dito sarà la Tenerezza o la Morte. L’ineffabile stesso conosce queste nostre vie incapaci di soluzione, abita i nostri sentieri senza dire il suo nome. Malato di luce Nel cuore della notte il poeta è una ferita. Dalla piaga gocciola una verità sporca di cielo, un demone segreto la detta, canta la tua danza sei tu Poesia Riccardo Clementi
Funerale di Bobo 1 Bobo è morta, ma non toglierti il cappello. Come spiegarlo, non c’è niente per cui consolarsi. Non appuntiamo la farfalla con lo spillo dell’Ammiragliato, la mutiliamo soltanto. Le finestre sono quadrate, per quanto ne squadri i lati E in qualità di risposta a: “cosa è successo” – apri una scatola di sardine vuota dentro: “ecco, questo”. Bobo è morta. Sta finendo il mercoledì. Sulle strade, dove non trovi da pernottare È bianco bianco. Solo l’acqua nera del fiume notturno non trattiene la neve. 2 Bobo è morta, e in questa strofa c’è malinconia. I quadrati delle finestre, i semicerchi delle arcate. un freddo tale, che, se ti uccidono, sia almeno con armi da fuoco. Addio Bobo, meravigliosa Bobo. La lacrima dona al formaggio tagliato Siamo troppo deboli per seguirti Ma anche rimanere fermi è al di sopra delle nostre forze. La tua immagine, lo so in anticipo, al caldo, e al freddo-clematide non diminuirà, anzi, tutto l’opposto, nell’irripetibile prospettiva di Rossi. 3 Bobo è morta. È una sensazione condivisibile, ma scivolosa, come il sapone. oggi ho sognato di essere sdraiato nel mio letto, e così è stato. Strappa il foglio, ma cambia la data. Lo zero apre l’elenco delle perdite. I sogni senza Bobo ricordano la realtà, e l’aria entra quadrata nella stanza. Bobo è morta. Viene voglia, con le labbra schiuse appena, di pronunciare: “non ce n’è bisogno” Probabile, che dopo la morte, ci sia il vuoto. Ed è più probabile, ed è peggio dell’Inferno. 4 Tu eri tutto. Ma dal momento che ora sei morta, mia Bobo, tu sei diventata un nulla – per l’esattezza, un grumo di vuoto. Che è già, capisci, qualcosa. Bobo è morta: nel cerchio degli occhi Si muove la linea dell’orizzonte, come un coltello Ma, Kiki o Zaza non sostituiranno te, bobo con l’orizzonte Non si può. È mercoledì. Io credo nel vuoto. Nel vuoto si sta come all’Inferno, fa solo più schifo. E il nuovo Dante si china sul foglio E mette la parola in uno spazio vuoto. I. Brodskij, trad. Veronica Colombo